martedì 12 agosto 2014

Magia pratica (estratto da Il segreto celtico della felicità)

In effetti, devo ammettere che neanche dopo averli osservati a lungo sono riuscito a capire la differenza fra i



e i quaderni normali. D’altra parte, i Celti, non solo non avevano quaderni ma da quanto mi è parso di capire non conoscevano neanche la scrittura. Per cui i quaderni celtici li mettiamo nella stessa categoria dei portacellulari in feltro.



Di tutto invece si può dire di


tranne che non tenga fede al suo nome.



(Peccato solo che il mattino dopo, rientrando dal percorso magico, abbia avuto modo di vedere il metodo di lavorazione – sicuramente pratico ma un po’ sudicio – utilizzato dal proprietario.)

(No, purtroppo, non sei stato selezionato per il premio “Amuchina d’oro 2014”)

Osservando le varie bancarelle, l’oggetto che va per la maggiore sembrano essere le


Ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, anche per neofiti della materia.


Volendo, ci si può anche recare dalla maga Fiammella

(Come non riporre la propria fiducia in una che si occupa di “Magia pratica” e ha come indirizzo mail  fiammella76@yahoo.it?)

per dare un tocco di singolarità alla propria bacchetta.

(Come non affidare la propria bacchetta a una che usa quattro punti esclamativi? Senza contare l’eleganza del font, che probabilmente si chiamerà Celtic Dream o Magic Runes o qualcosa del genere.)

E a dispetto di cose naif capaci di strapparmi un sorriso, come queste




non bisogna pensare che i commercianti celtici siano degli sprovveduti, visto che come suggeriva neanche tanto velatamente questo cartello


prima viene il commerciante e dopo il Celto.

D’altra parte gli affari sono affari, quindi “amici celtici amici celtici” però


mangiare la cocomera e via andare.

Così, mentre calano le prime ombre delle sera e io mi faccio dei selfie etruschi


e le wicca invece si fanno dei pendolini mentre sextano


e la temutissima domanda che mi sono posto per tutto il giorno riceve fortunatamente risposta negativa

(In realtà né tante né poke, zero. Caldo + umidità + erba + rive del PO = non ho visto una sola zanza. Merito, immagino, della quantità industriale di napalm spruzzata lì intorno.)

all’improvviso spunta un gruppo di musica celtico/irlandese (alla quale, per come la vedo io, si può applicare la stessa definizione di quella balcanica).


Non bastasse la musica (e i pantaloni a quadretti), i due cornamusisti del gruppo – a cui, in mancanza di informazioni, do il nome di “Ce la crediamo tantissimo” – mostrano lo stesso approccio allo strumento di Slash o Jimi Hendrix, finendo per provocare in me una reazione simile a quella che Michael Jackson ebbe, proprio nei confronti del chitarrista dei Guns N’ Roses, durante un’esibizione ai Video Music Award del ’95. Perché va bene la teatralità e la contagiosa allegria, ma non puoi suonare la cornamusa come se stessi sempre facendo un assolo di chitarra.


E dal momento che sono partite le musiche, e che pavlovianamente stanno partendo i balletti (quelli circolari, uomo-donna, con la presa sottobraccio), e che comincia a spandersi nell’aria un pungente odore di resina bruciata, mah, sarà il

(Fra l’altro – sono andato a controllare – il benzonio non esiste (per quanto Google mi segnali l’esistenza di una Trattoria Salumeria Benzonio di Gianni & Adelio). Esiste invece il benzoino, un albero con la cui resina si produce l'orzata e, immagino, la roba di cui sopra.)

e che una veloce perlustrazione dei piatti offerti dal self-service rivela la presenza di un temibile

(Dopo aver visto la foto su Facebook, qualcuno si è giustamente chiesto quale fosse la componente celtica. Mi sono dato tre possibili spiegazioni: 1) Il tonno è stato pescato circa 2700 anni fa; 2) Per digerire un piatto del genere ci vogliono circa 2700 anni; 3) Tutte e due.)


ma soprattutto considerando che sono abbastanza stanco e domani vorrei essere in forma per il percorso magico - e anche perché devo risolvere il mistero del


 decido di tornare in albergo.

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